Antonio Margheriti's uneven genre debut is a less gloomy affair than his later better known revenge westerns. With its elegantly dressed hero, who always has a last trick in store and solves everything by dynamiting away all his foes and problems, Joe l'implacabile is clearly an easygoing forerunner for the Sartana/Sabata type of SW heroes, which became popular not before mid 68.
Dynamite Joe (Italian: Joe l'implacabile) is a 1966 Italian western film directed by Anthony Dawson, written by María del Carmen Martínez Román, and scored by Carlo Savina.[1][2][3]
The L'implacabile
Le rivoluzioni tunisina, egiziana e yemenita, la guerra in Libia, la sanguinosa rivolta in Siria, la ribellione sciita in Bahrein e la normalizzazione dell'Iraq (sempre sciita e con il contributo curdo), la stessa voglia degli iraniani di liberarsi del loro regime teocratico, hanno reso sempre più anacronistico il messaggio sanguinario di Bin Laden per la creazione di un grande califfatto islamico-fascista (e sunnita) in tutto il mondo che crede nella profezia di Maometto, riportando con il terrore delle bombe, la forza integralista delle armi e l'implacabile sferza di una religione senza la misericordia di Allah e del Corano, sotto controllo le eresie nemiche e blasfeme, come quella sciita, e costruendo un mondo medievale irto di armi, divieti, forche e lapidazioni, che costruisse barriere e baratri con gli infedeli (non solo occidentali-cristiani, ma anche indiani, i cinesi e, ancor peggio, gli atei). Un progetto di conservazione estrema figlio della globalizzazione e dello "scontro di civiltà" che aveva trovato, non a caso, la sua fonte originaria nella lotta al comunismo finanziata da un azzardo occidentale (che poi si è rivelato mortale per la stessa America a New York l'11 settembre), dall'Arabia saudita e dalle altre monarchie assolute arabe e che era essenziale per i servizi segreti pakistani, che sono la vera levatrice della crisi afghana, come i neocon statunitensi e i loro volenterosi carnefici lo sono per quella irakena.
Turingia, Nazione germanica, Anno Domini 1631, ventre nero e congelato del tredicesimo, terribile inverno della guerra eterna. Disgregazione, devastazione, consunzione hanno dominio incontrastato su quello che appare come un mondo in inarrestabile agonia. Ma nemmeno i molti, troppi segni di un'apocalisse annunciata fermano Reinhardt von Dekken, l'implacabile principe cattolico di Kragberg, nel perseguimento del suo disegno di potere assoluto. Al suo fianco, si schiera un nuovo, potente alleato: Albrecht von Wallenstein, subdolo demiurgo della guerra eterna alla ricerca di una resurrezione egemonica. Un'alleanza, la loro, fin troppo simile a un patto concepito all'inferno. Eppure, perfino l'inferno sembra recedere di fronte Wulfgar, l'eretico in nero, letale guerriero-ombra. Così, mentre Reinhardt von Dekken esegue le mosse conclusive della sua sinistra strategia e Wulfgar si erge nell'estrema difesa di quella che potrebbe essere l'ultima valle della terra, i loro destini si incrociano, si artigliano, si contorcono uno dentro l'altro, scivolando verso l'orlo dell'abisso. In questa doppia spirale di annientamento, un tormentato cardinale è costretto ad abbandonare la quiete ingannevole della Santa Sede per intraprendere un viaggio che lo porterà fino a un perverso cuore di tenebra; i possessori degli enigmatici simboli dei cinque elementi primari convergono verso un fulcro tanto labirintico quanto inesorabile; un'indomabile donna di fede deve confrontarsi con gli spettri di un passato più spaventoso di qualsiasi incubo, e il distaccato Osservatore continua a essere testimone di eventi destinati a sprofondare la Germania nella devastazione terminale. Con La Furia, volume centrale dell'epica trilogia ambientata nella Guerra dei Trent'anni, il monumentale conflitto del xvii Secolo che ha precipitato l'Europa intera nella barbarie, la fine di un'epoca diventa un affresco ancora più gotico, ancora più incombente. Tra disperate lotte per la sopravvivenza e scontri tra sanguinari sterminatori, tra rivelazioni della tragedia passata e profezie dell'Armageddon a venire, il fato di Magdeburg, la possente città ribelle sul fiume Elba, viene suggellato da crudeli giochi di potere destinati a divorare ogni cosa. E ogni uomo.
Ci siamo. Tra poche miglia (una trentina) e pochissime ore (verso le 20 circa) il vincitore di questa splendida edizione del Giro del Mondo in solitario taglierà la linea d'arrivo di Les Sables d'Olonne.Peccato, sarà buio, ma centinaia di battelli usciranno come al solito dal porto-canale per andare a festeggiare il più bravo. Colui che è riuscito ad arrivare davanti a tutti.Salvo sorprese impreviste sarà il giovane Charlie Dalin a bordo del suo Apivia. E avrà anche il merito grande di essere quello che è stato in testa alla flotta per più tempo.Ma gli appassionati usciti in mare, o sul bordo del porto-canale avranno una lunga notte. Dopo meno di tre ore dovrebbe arrivare l'implacabile inseguitore Louis Burton, su Bereau Vallée, che al momento è circa 60 miglia dietro a Dalin.E poi il tedesco Boris Hermann che arriva da Sud. Se la giocherà con Ruyant che arriva da Nord Ovest , il distacco teorico tra i due è di circa 30 miglia, quando gli restano in prua meno di 90 miglia all'arrivo.Ma sono solo i primi quattro. Domani arriveranno anche gli altri sei del gruppo di testa: Tra cui, in settima posizione Giancarlo Pedote (complimenti, è la migliore prestazione di un italiano nel Vendée) vicinissimo a Damien Seguin (Groupe Apicil) che gli è davanti di una ventina dsi miglia, e a Jean Le Cam che lo segue con un ritardo di 31 miglia.Non voglio ripetermi, ma un giro del globo con una muta di avversari così vicini nella zona d'arrivo non solo non si era mai visto, ma era anche difficile da immaginare.Vorrei invece fare notare che la rotta su Les Sables è stata interpretata in modo diverso dai concorrenti di testa.Dalin, Burton, Normann, sono passati vicino a Capo Finisterre in Spagna e hanno puntato sul tragurdo venendo da Sud. Ruyant, Bestaven (Maitre CoQ) e, in parte, anche Pedote (Prysmian) si sono tenuti larghi al Nord, in mezzo all''oceano, e stanno puntando l'arrivo da Ovest.Altri, Seguin, Le Cam, Dutreux (Omnia) hanno scelto una via intermedia,Da quanto si vede al momento, l'opzione Sud è stata quella migliore.Attenzione, per i francesi, che di vela oceanica se ne intendono, chiunque finisce un Vendée Globe può essere considerato vincitore da applaudire.E l'ultimo è previsto arrivare tra circa un mesetto.
Luigi MurcianoLa "valanga azzurra" del centrodestra a trazione Giorgia Meloni non ha risparmiato neppure l'Isontino. Anche la mappa del territorio provinciale è costellata da un ideale, uniforme colore blu in pressoché tutti i comuni, a monte come a valle dell'Isonzo. Al campo progressista, storicamente forte nel Basso ma anche in alcune roccaforti dell'Alto Isontino, non sono rimaste che le briciole. Appena cinque, infatti, i puntini rossi che indicano sulla cartina un'affermazione del centrosinistra nell'uninominale. I due poli "terzi", poi - M5S e Azione/Italia Viva - stanno sostanzialmente a guardare. LE ECCEZIONI Tre le affermazioni maggiormente pronosticabili del centrosinistra, quelle nei centri con una marcata presenza della minoranza slovena: le piccole Doberdò del Lago, dove la coalizione capeggiata dal Pd rifila al centrodestra quasi 17 punti, e San Floriano del Collio, dove i punti percentuali sono stati una decina e infine Savogna. Gli altri due afflati d'orgoglio del campo progressista vengono invece dalla Bisiacaria: la Turriaco del sindaco Enrico Bullian, in predicato di correre alle prossime regionali, vero e proprio fortino che neanche l'implacabile Meloni è riuscita a espugnare, più San Pier d'Isonzo del sindaco Claudio Bignolin, da poco tornato a una parte del centrosinistra, dove l'alleanza che va dal Pd a Sinistra Italiana, passando per +Europa e Impegno Civico di Di Maio, l'ha spuntata di un'incollatura: 22 voti e appena due punti percentuali. Ma in un comune che aveva appena vissuto una diaspora del centrosinistra locale è un risultato decisamente notevole. Per il resto, stop. Piccole, quasi simboliche vittorie di Pirro che cristallizzano il risultato nei comuni del Goriziano su un eloquente 20 a 5 per il campo di centrodestra. Per la cronaca, il Pd si è attestato come primo partito a Doberdò, Savogna, San Floriano del Collio, a Ronchi dei Legionari, San Pier d'Isonzo, Staranzano, San Canzian, Turriaco e Sagrado. Dignitose infatti le "rese" del centrosinistra a Ronchi dei Legionari - che pur reduce da non poche spaccature alle recenti Comunali sfiora il pareggio con appena 85 voti di ritardo, in fondo appena un punto e mezzo percentuale di scarto -, a San Canzian d'Isonzo e nella piccola Sagrado, le uniche a contenere il divario ben al di sotto della doppia cifra. Anzi, nel piccolo comune guidato dal sindaco Marco Vittori si può quasi parlare di pareggio, con i due campi principali divisi da appena 9 voti. A Farra, comune-laboratorio dove centrosinistra e centrodestra governano assieme in una civica unica, il voto ha premiato il campo "conservatore" con dieci punti e un centinaio di schede di divario. LE CERTEZZE Tralasciando Gorizia e Monfalcone, il centrodestra ha ovviamente marcato il territorio nei comuni dove già partiva da una situazione locale particolarmente forte: dalla piccola Dolegna, storico feudo leghista, in cui Fratelli d'Italia in ogni caso prevale, i progressisti franano addirittura al 12%, all'"egemone" Cormòns che guida il Patto del Collio, passando per gli altri centri con sindaci da tempo oggetto dello scouting di Progetto Fvg come Capriva e (forse) Mariano del Friuli, il distacco rifilato agli avversari oscilla ovunque fra i 15 e i 20 punti. Anche a Romans, alle cui comunali si erano presentati due candidati sindaco di centrodestra, nessuna sorpresa: tutt'altro, 330 voti di scarto e compattezza granitica. Con buona pace del sindaco dem Michele Calligaris. LE PROSPETTIVE La domanda ora è quanto questo scenario a dir poco definito in favore del centrodestra possa incidere nell'Isontino in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Nel 2023 si rinnova il Consiglio regionale, e il territorio dovrà provare a confermare i suoi cinque rappresentanti: oggi tre sono del centrodestra, uno del Pd ed uno del M5S. Rapporti di forza che si consolideranno? E poi, di lì a un anno, ci sarà il primo test amministrativo locale dell'Isontino con questo nuovo allineamento (a destra) dei pianeti. A cimentarvisi saranno due centri importanti come Gradisca e Staranzano, che sono - né più e né meno - i due baluardi più importanti di un centrosinistra in crisi d'identità e di risultati. Contesti simili (gli uscenti Linda Tomasinsig e Riccardo Marchesan non potranno ricandidarsi) e numeri eloquenti per entrambi: d'accordo, a livello locale è un'altra partita e la differenza la fanno ancora le persone e le relazioni nel tessuto sociale, ma il "campo-Meloni" ora ha un tesoretto su cui investire di qui al 2024: sia nella cittadina della Fortezza sia a Staranzano, dove le frizioni nel centrosinistra non sono mancate, il centrodestra a trazione Fdi ha persino migliorato il risultato della coalizione capitanata dalla Lega del 2018. Vero che anche il centrosinistra ha raccolto qualcosina in più rispetto a 5 anni prima in entrambi i comuni, ma il ciclone-Giorgia fa passare il dato pressoché inosservato. -- RIPRODUZIONE RISERVATA 2ff7e9595c
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